Domenica 17 maggio il nuovo governo israeliano ha prestato giuramento di fronte alla Knesset. Per sbloccare finalmente la situazione politica israeliana sono state necessarie tre settimane di consultazioni, interrotte fra l’altro in due occasioni: a causa della visita del segretario di Stato statunitense Mike Pompeo – particolarmente interessato al coinvolgimento della Cina in alcuni progetti di sviluppo israeliani, come l’impianto di dissalazione Sorek B – e per concedere a Netanyahu più tempo per completare l’assegnazione dei ministeri.
Per la quinta volta consecutiva, Benjamin “Bibi” Netanyahu – ancora sotto processo per accuse di corruzione e frode – ricoprirà il ruolo di Primo ministro. L’incarico di guidare il governo di unità nazionale durerà almeno per i primi 18 mesi della legislatura (fino al 21 novembre 2021), poi passerà al suo ex rivale Benny Gantz, che in questa prima fase si “limiterà” a svolgere il ruolo di ministro della Difesa e di Vice Primo ministro. L’accordo sulla turnazione nel ruolo di Premier è il risultato dei lunghi ed estenuanti negoziati di coalizione tra il blocco dei partiti di destra, guidati dal Likud di Netanyahu, e il blocco di centro-sinistra, capeggiato dal partito Kahol Lavan (Blu e Bianco) di Gantz. Inoltre, secondo l’accordo, entrambi i leader saranno responsabili per i ministri della propria fazione e avranno possibilità di porre il veto su determinate decisioni governative prese dal blocco opposto.
La pandemia e lo spettro di nuove e costose elezioni hanno sicuramente contribuito al buon esito della strategia di Bibi. Eppure, Kahol Lavan era nato proprio con l’obiettivo di porre fine alla carriera politica di Netanyahu. si presentava come unica vera alternativa al “malgoverno della destra” e individuava in un governo guidato da Gantz – ex capo dello Stato maggiore delle forze armate israeliane – l’unica strada percorribile per evitare che una figura politica accusata di corruzione sedesse sulla poltrona più importante di Israele. Nonostante ciò, a un anno e mezzo di distanza dalle prime elezioni, Netanyahu – il Primo ministro più longevo nella storia israeliana – è riuscito a convincere il suo avversario politico a cedere a richieste che fino ad ora erano state rifiutate in toto e a contraddire la natura stessa del partito “Blu e Bianco”, che ora lavora gomito a gomito perfino con partiti religiosi e di estrema destra.
Diciotto ex-alleati di Gantz hanno così ingrossato le fila dell’opposizione, come Yair Lapid, che ora ne è il capo. Il peso del partito laburista è stato ridotto a due seggi in seguito alle numerose defezioni interne e la Lista araba unificata, per l’ennesima volta, ha visto sfumare la possibilità di entrare (per la prima volta) a far parte del governo. Infatti, nonostante Gantz sia stato il primo a cui è stato affidato l’incarico di formare il governo dal Presidente Reuven Rivlin, il leader della fazione anti-Netanyahu ha dovuto rinunciarvi quando la sua maggioranza si è ridotta a causa di defezioni interne al partito, sorte proprio per divergenze politiche sull’eventuale partecipazione della Lista araba unificata alla compagine governativa. Così, sfumata la prospettiva di un governo di centro-sinistra, Gantz e Netanyahu hanno avviato, non senza disaccordi e ritardi del caso, le consultazioni per la creazione di un governo di unità nazionale.
Si tratta del governo con la maggioranza più ampia nella storia di Israele, in cui figurano 34 Ministri e 16 Viceministri, alcuni con dei ruoli e dei compiti creati ad hoc per accontentare le richieste del blocco avversario, così da superare l’impasse politica e consegnare al paese un governo di unità nazionale, che dovrebbe guidare la nazione in questo delicato periodo di emergenza sanitaria, economica e sociale. In un momento di crisi occupazionale di proporzioni storiche, in cui più di un milione di israeliani si ritrova oggi senza lavoro, il governo di unità nazionale costerà alle casse dello Stato circa 225 milioni di dollari su base annuale. Questo è il prezzo che i cittadini israeliani dovranno pagare per evitare la quarta tornata elettorale nell’arco di pochi mesi: un governo in cui solo una minima parte dei Ministri si dedicherà effettivamente alle mansioni legislative e al controllo dell’apparato esecutivo, mentre i rimanenti svolgeranno un ruolo ridondante, spesso di mera rappresentanza, aggravando le casse dell’erario senza servire nessuno scopo preciso, se non quello di soddisfare una sorta di sistema di checks and balances interno al governo. Mentre i deputati di Kahol Lavan ottengono importanti portafogli quali la Difesa (Benny Gantz), gli Affari Esteri (Gabi Ashkenazi) e la Giustizia (Avi Nissekorn), al Likud vanno quelli delle Finanze (Yisrael Kaaz, ex ministro degli Esteri), della Sicurezza Pubblica (Amir Ohana) e della Salute. Per quanto riguarda quest’ultimo dicastero, è interessante notare che Yuli Eldstein, ex presidente della Knesset, il parlamento israeliano, prende il posto di Yaakov Litzman, ora ministro delle Infrastrutture. Solo pochi giorni fa Litzman era stato trovato positivo al Covid-19 per non aver rispettato le misure di distanziamento sociale.
Nonostante la compagine governativa sia ampia abbastanza da garantire stabilità politica al paese anche nel caso in cui ci fosse qualche defezione, il sistema di veto incrociato rischia non solo di rallentare il processo decisionale, ma di paralizzarlo del tutto, a causa del divario ideologico tra i due alleati e dell’instabilità intrinseca di un governo formato da molteplici anime politiche, con interessi spesso contrastanti. Lo stesso accordo di rotazione impedisce ai singoli ministri – soprattutto quelli che ricoprono posti chiave come il Primo ministro, il ministro degli Esteri e quello della Difesa – di poter lasciare la propria impronta politica, poiché, entro pochi mesi, ognuno di loro sarà sostituito da un nuova nuova figura che probabilmente avrà una visione e uno stile politico completamente diversi.
Se la paralisi del processo decisionale si configura “solo” come rischio per l’efficienza e l’operatività del potere esecutivo israeliano, di certo c’è che il Primo ministro sarà anche occupato a difendersi dalle accuse di corruzione, frode e abuso d’ufficio. Il processo, iniziato il 24 maggio, ha già monopolizzato il dibattito pubblico, e la nomina di un deputato ufficialmente incriminato alla premiership ha dato vita a due proteste pacifiche in piazza Rabin, a Tel Aviv, dove migliaia di israeliani si sono dati appuntamento il 19 e il 25 aprile per manifestare, nel rispetto delle misure di distanziamento sociale, contro la presunta erosione dell’ordinamento democratico e contro l’attuale stato delle istituzioni in Israele.
I delicati ed effimeri equilibri interni alla maggioranza rischiano quindi di essere facilmente erosi di fronte a questioni di importanza e urgenza prioritaria come le misure per il contenimento della seconda andata della pandemia e la strategia di ripresa economica, questioni sulle quali i nuovi alleati di governo potrebbero avere punti di vista contrastanti e sulle quali potrebbe esserci il ricorso al sistema del veto incrociato. In ogni caso, Netanyahu è riuscito a guadagnare altri 18 mesi di tempo per pensare alla sua prossima mossa ed eventualmente impedire, con il sostegno di 70 membri della Knesset, la nomina alla carica di Primo ministro da parte di Gantz.
Melania Malomo